Ammontano a 995 miliardi di euro le attività finanziarie delle famiglie italiane rappresentate da contanti, depositi e titoli a breve termine, come risulta dall'ultima Relazione della Banca d'Italia. In pratica, per ogni mille euro di ricchezza finanziaria, i privati ne tengono 269 in liquidità, senza per altro tenere conto dei fondi monetari. Si tratta di un aggregato in crescita, interessato nel 2007 da 50 miliardi di flussi in entrata (73 nel 2006). La preferenza per la liquidità degli italiani ha origini ataviche. «Stare liquidi» è diventato però un imperativo per i risparmiatori scottati dal boom della new economy e depressi sul futuro del Paese. C'è poi un esercito imprecisato di investitori privati che ha scelto il parcheggio della liquidità perché spaventato dalla crisi dei mutui subprime e dalla conseguente discesa dei listini azionari. Costoro si ripromettono di tornare a investire nelle Borse «quando sarà finita l'incertezza», illudendosi che sui mercati rischiosi come l'azionario possano esistere periodi di "certezza".
Più razionali appaiono coloro i quali, non rinunciando mai a investire in azioni – perché possiedono tutte le caratteristiche per farlo – mantengono una quota di liquidità destinata a futuri acquisti, approfittando della ricorrente emersione sui listini di fenomeni di sottovalutazione di singoli titoli. Come si legge a pagina 17, anche a Piazza Affari ci sono piccole e medie capitalizzazioni che quotano a prezzi che forse scontano scenari troppo cupi. Qualunque sia l'esigenza che sta alla base dell'impiego in liquidità, la buona notizia è che da qualche anno a questa parte si è aperta una gara tra banche (soprattutto online) per offrire, su questa categoria di attivo, remunerazioni che si avvicinano a quella dei BoT, al netto delle tasse. Il che è positivo anche per chi, all'inizio della carriera lavorativa, comincia a investire i primi risparmi proprio negli strumenti di liquidità.
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